Buona Movida

Quando ci si diverte, in Senegal, non si bevono bevande alcoliche. Sono le percussioni che sostituiscono l’ebrezza dell’alcool. Sono le danze, i cori, i canti, a rendere euforiche le persone consentendo loro di dimenticare i problemi, gioire, stare insieme.

Con questo spirito Doudou ha aperto Ciwara, creare un posto dove poter, per un attimo, sentirsi leggeri, nonostante gli ostacoli e le difficoltà presenti nelle nostre vite.

Quando iniziò a sognare Ciwara a Palermo, non aveva previsto di vendere l’alcool, non apparteneva alla sua cultura, lo riteneva assolutamente inutile. Gli amici europei gli dissero che non avrebbe potuto fare questo perché per noi occidentali, bere alcolici, è alla base dei momenti conviviali; negli anni gli ha dato ragione, anche se la ritiene ancora una cosa non necessaria per “stare bene”.

Ieri sera, dopo avere passato delle piacevolissime ore insieme al Doudou group, con una bella clientela di persone che hanno gustato i nostri piatti, si è venuta a creare una situazione emozionante che vi vogliamo raccontare.

C’era la piccola Dani Racky, la figlia di Doudou e Latina, dentro la sala, che suonava al pianoforte un brano di musica classica; lo zio Abib, poco più in là, alla tastiera, che suonava e cantava dei pezzi di Adriano Celentano, accompagnato a quattro mani, da un avventore felice di rimettere mani su una tastiera dopo due anni di pausa.

Fuori c’erano le forze dell’ordine al completo, Polizia di Stato, Polizia municipale, Guardia di Finanza e Carabinieri, c’erano almeno 5 autovetture parcheggiate tutte intorno alla piazza e praticamente a ridosso delle nostre porte di ingresso, a svolgere il loro ruolo di vigilanza della piazza contro la Malamovida.

Non vogliamo muovere alcuna critica ma riflettere ad alta voce su quanto sarebbe bello opporre alla Malamovida una Buona movida, fatta di energie positive, di canti, di balli, di corpi che si muovono facendo vibrare il proprio cuore su ritmi di Pace, di Amore e fratellanza.

É un’esperienza da fare. Certo, seguire il ritmo dei djembè non è per niente facile, è serrato, è profondo, il djembè parla di Storia dell’Africa e tutto lì è intenso e forte, come i piatti, come le bevande, come le emozioni, come loro, che affrontano la vita con un sorriso e con coraggio, sempre. Lasciarsi andare e muovere il proprio corpo diventa un’impresa ardua, ma non impossibile.

I clienti rimangono seduti, ma il loro busto dondola e i loro occhi brillano, dimenticando per un attimo quello che hanno sul piatto.

Poi arriva un amico, senegalese, gambiano o nigeriano che si ferma davanti al percussionista e con uno sguardo iniziano un dialogo fatto di suoni e gesti. La danza così diventa un gioco tra i due, che si parlano senza parlare, ridono e si scambiano sguardi di intesa. C’è sudore, c’è gioia, c’è un’energia così intensa e forte che fa accapponare la pelle. In quel momento, per tutti, è chiaro che quella energia, quella felicità, è alla base della vita e, per un attimo, ci si ricorda che la vita è per viverla, non per soffrire.