Perché i piatti della cucina senegalese non si cucinano mai per poche persone

Sul web si trovano decine di ricette e video-ricette dei piatti più famosi senegalesi, come il thiep bou djen, che dal 2021 è stato iscritto nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’UNESCO, o il mafé, che in realtà non è senegalese ma maliano.

 

Per cucinare un buon piatto tradizionale senegalese, però, non basta seguire una ricetta o un tutorial. Lo sappiamo bene anche noi siciliani: la pasta al forno della mamma non si trova in nessun ricettario, e come la faceva lei nessuno più; eppure, almeno per me, era la più buona del mondo.

 

Durante il periodo del Covid, come tanti, ho cucinato molto e mi sono dilettata anche nella preparazione dei sughi senegalesi sotto la guida attenta e precisa di Doudou. La prima cosa che ho notato è che, nonostante cercassi ogni volta di fare solo una piccolissima quantità di condimento, alla fine veniva fuori un pentolone in grado di sfamare un reggimento. Mi sono chiesta mille volte il perché, e la risposta è stata una sola: non è possibile cucinare una piccola quantità di sughi senegalesi. Non si riesce a trovare un equilibrio negli ingredienti riducendo le proporzioni, se si vuole mantenere il gusto autentico del piatto originale.

 

In Senegal si cucina sempre per la famiglia, che conta almeno sei persone, ma anche per i vicini, gli amici di passaggio, chi si ferma a salutare. Il piatto deve bastare per almeno 15 persone.

Capite bene che se la ricetta originale prevede 2 melanzane per 10 persone, cucinare per 2 significherebbe utilizzare meno di mezza melanzana. Così per ogni altro ingrediente. Alla fine, già che c’ero, cucinavo sempre per 5, dimezzando soltanto le quantità della ricetta di partenza.

 

Ma la questione importante non riguarda solo le quantità, bensì soprattutto le tecniche, i gesti, i segreti che ogni cuoca custodisce.

Gli ingredienti, almeno quelli che usiamo nei piatti del nostro menù – che rappresentano una parte significativa della tradizione senegalese, anche se non tutti – sono quasi sempre gli stessi: aglio, cipolle, pomodoro, limone, melanzane, patate, carote, peperoni, cavolo, manioca, zucchine, fagioli. In Italia non si trovano tutti quelli utilizzati in Senegal: i navet, una sorta di zucchina dal gusto piuttosto anonimo; il djakatù, simile a un pomodoro ma dal sapore amarissimo; le foglie di bissap, che noi sostituiamo con gli spinaci per preparare la salsa Beugheudj, che accompagna il thiep bou djen.

 

Cambia la combinazione, cambiano le quantità, ma alla fine gli elementi sono sempre quelli.

Dove sta allora il segreto? Qui non si svelano segreti, ma una cosa bella posso dirvela: dietro ogni piatto c’è tanta Storia. Il piatto principale che si prepara in casa è un vero rito, richiede una lunga preparazione e tempi di cottura mai inferiori alle quattro ore, usando quasi sempre un unico tegame capiente. In Senegal si cucina su un fornello a terra, alimentato da una bombola a gas nelle città o dalla legna nei villaggi.

 

Da Ciwara abbiamo il privilegio di lavorare in una cucina accessoriata, con frigoriferi che ci permettono di conservare gli alimenti. Nonostante questo, acquistiamo prodotti freschi giorno per giorno: le nostre cuoche scelgono personalmente verdure e ortaggi, mentre cipolle e aglio non mancano mai. La carne è sempre Halal, macellata secondo il rito islamico, e il pesce ci arriva dalla nostra pescheria di fiducia, che ci riserva sempre ottima qualità, molto apprezzata dai nostri clienti.

 

E il segreto? Il segreto… qual è il segreto?

Parliamo di piatti poveri che diventano ricchi grazie ai tempi di cottura, alle spezie e agli aromi che la natura offre. Così il mafé lo riconoscerai dal profumo di burro d’arachidi e lo distinguerai dal domoda solo per il colore diverso. Amerai la yassa perché, pur essendo a base di cipolle, resta leggera grazie al limone. E poi il thiep: non è un risotto, e non lo abbiamo tradotto come tale, perché il riso assume il suo colore e il suo sapore proprio cucinando nella stessa pentola in cui hanno cucinato le verdure.

 

Adesso mi fermo, altrimenti rischio di diventare prolissa. Se l’argomento e il modo in cui ve l’ho raccontato vi sono piaciuti, lasciate un commento e chiedete, se volete, approfondimenti sui piatti e sulle bevande. Per noi sarà un piacere condividere la nostra Storia e la nostra Cultura.

Questa è la missione di Ciwara.

 

Grazie,

Romina